9^ Su e Giù – 1982

1982 – In 2500 alla 9a Su e giù

Duemilacinquecento. Madonna quanti! Queste son folle “pure”, da encomio. Standardizzati nelle tute, senza scalette sociali e pudori da complesso, rispettando le leggi della “Su e Giù”. I più audaci con le cosce scoperte, in calzamaglia freddolosi e timidi. Difficile riuscirli ad arginare prima della partenza, sembravano avere lo stimolo di Fogar prima di una delle sue esaltanti avventure. Dovevano partite al più presto.
 
L’ex insegnante a formulare il:
“Che si fa?”, innaffiando d’attualità i dialoghi perduti.
Si conoscevano altre persone nella solidarietà da affaticamento. Si apprezzavano famiglie complete portare a spasso il proprio “nome” orgogliosamente. Gustosi i contrasti dialettici tra genitori e figli al primo traguardo. Quanti papà, con l’affanno, a dire imperativamente al proprio moccioso: “Fermati ai sei chilometri!”. E di rimando: “Nooo! Papà io me la faccio tutta”. In fondo la “Su e Giù” è anche una disubbidienza “lecita”. Grazie Virtus. Qualcuno addirittura ha corso con le orecchie premute da una cuffietta stereofonica, di quelle che “si portano” adesso. Comfort, moda: altri connotati. L’immagine più bella “montata” dalla “Su e Giù” è quella degli handicappati che facevano gruppo con gli altri, è stato il coagulo del sorriso. Attimi da riflessione. La gente lungo le strade è stata coinvolta dalla “scia delle tute”, facile da interpretare per i più, difficile da capire per qualcuno. Come le vecchiette che mostravano, sussultate dalla novità, le “finestre” nella bocca raggrinzita. Domandavano: “Ma ch’è successo?” e sorridevano prese dallo spettacolo.
 
Quando la benzina dei polmoni sembrava stesse per finire provvidenziale arrivava l’incoraggiamento dello spettatore. La fatica scompariva pure alla vista dei fotografi, bisognava essere eretti ed efficienti, poteva scapparci qualche “clic!”. In quei caratteristici chilometri s’è “perso” anche il Fanfani di turno, gli altri problemi. Ore di scarico psichico. Grazie Virtus. Son venuti dalle Marche, Abruzzi, Puglie, Lazio, Toscana, per assaggiare quella che ormai è una classica del podismo per queste zone geografiche.
 
Quest’anno si arrivava nel ventre della Villa Comunale, anche per ristabilire il vecchio contatto col verde, il colore che si coniuga meglio con lo sport. Lì, tra quel popolo di alberi (uno dei pochi sopravvissuti alla grandiosa gettata di cemento) si aggiravano – dopo il traguardo – i visi da sforzo, naturalmente velati di soddisfazione. Di tempo ne era passato dalla partenza. La gente fresca di toilette riprendeva ormai il rito dello struscio, invadeva le strade. Mentre la città rientrava nell’ordinario i duemilacinquecento, come i leoni dopo aver vinto una delle lotte, autentiche, della giungla, andavano fieri a riposarsi. La “Su e Giù” aveva un altro episodio da raccontare. Una storia più lunga di ieri. Arrivederci Virtus.
E grazie ancora.
 
Claudio Struzzolino