13^ Su e Giù – 1986

1986 – Come il primo giorno di scuola…

Ed è tornata la Su e Giù, come in primo giorno di scuola, come il Natale, come l’aria fragrante della Primavera quando squarcia le nubi dell’inverno. È tornata per un’altra sfida con la realtà, per ridarci nuovamente le emozioni di un momento di gioia. Per me quest’anno è una Su e Giù speciale: è iniziata nel momento in cui Nicola Palladino mi ha chiesto questo articolo. Finalmente!
 
Erano anni che aspettavo questo invito, e lo dico senza reticenze, ma con la sincerità sfacciata di chi non teme di sentirsi orgoglioso di partecipare a questa grande festa. Soffocato per anni nelle fobie del pallone (che ho imparato a discernere ed esorcizzare) ho vissuto ai margini di questo grande avvenimento: ho visto tante Su e Giù partire nel sole di una giornata diversa, mentre mi recavo a guardare altre recite, quelle “miliardarie” di un calcio con pochi sorrisi e tante tensioni. Guardavo con un pizzico d’invidia i condottieri di una manifestazione dove il sorriso è il documento di riconoscimento più esibito. Immagini nitide di ragazzi e ragazze, ragionieri e medici, edonisti e laici, democristiani e apolitici: l’azzeramento dei termini sociali è vissuto compiutamente solo in questa splendida cavalca-ta, durante le ore magiche di un rito che insegna, purifica, ammalia, polemizza….
 
Ricordo tempi “eroici” quelli iniziali, quando l’invidia, la grettezza, il disfattismo aveva teso inutili trappole ad una manifestazione giovane e senza complessi: la Su e Giù ha abbattuto invidie, ha frantumato la grettezza, ha ridicolizzato il disfattismo. È stato un grande traguardo in una città che purtroppo vive di malignità e ostruzionismo, di pigrizia. È stato un traguardo che la Su e Giù ha raggiunto issando la bandiera della vita, della speranza, della gioia. E sotto questa bandiera sono orgoglioso di esserci anch’io, perché la Su e Giù ha eliminato anche le discriminazioni sciocche, le precedenze, le meritocrazie. Non esiste la Su e Giù della Virtus o di qualcun altro, non esiste la Su e Giù di Campobasso o di un Ente Patrocinante.
 
Esiste la Su e Giù di tutti, quella che si corre in una domenica di novembre affianco agli altri.
 
E finalmente è anche la mia Su e Giù.
 
Mauro Carafa
 
 
 
 

1986 – Per capirla bisogna mettersi la tuta

Cos’è la Su e Giù? Cos’è davvero? Una gara podistica, un meeting, un raduno di popolo? Me lo chiedo interrogandomi a fondo, cercando di scrostare le impressioni redatte nel corso degli anni ed oggi sedimentate, ma pericolosamente votate a devitalizzarsi, favorite dalla routine delle immagini o dalla stereotipata e più larga vocazione della informazione a farne una circostanza da etichettare. Il rischio è tutto mio e lo avverto, fortunatamente. Ma altrettanto per fortuna ho la ventura di “misurarmi”, sul piano degli stimoli della fantasia, sulla possibilità di rifiutare l’acquiescenza o la superficialità alle proposte di facciata, ossia a non guardare oltre le apparenze, settimanalmente, con Nicola Palladino che della Su e Giù è l’anima e la mente.
 
Mi obbliga a sottili penetranti e continui guizzi nel pantano della vita di provincia; mi invita a seguirlo nelle sue peregrinazioni sornione, ma attentissime; mi offre generosamente il destro perché attinga dalla sua disponibilità, come dicevo prima, una collaborazione settimanale al giornale al quale lavoro e al quale lui collabora. Ebbene, tornando a bomba, tornando cioè alla Su e Giù e alla circostanza che mi dovrebbe vedere associato a tutti coloro che diranno di questo avvenimento su questo foglio, alzo le mani.
 
Le alzo in segno di resa (e non mi capita spesso) perché sono certo che se dicessi cose strambe, per differenziarmi, o cose ovvie, per allinearmi, sarei comunque in errore. La scelta migliore è quella di indicare come farvi un’idea della Su e Giù. Parlatene, se potete, con Nicola. E se potete (meglio ancora), partecipate.
 
Adalberto Cufari
 
 
 
 

1986 – Per liberarci da una tirannia

Il mondo dello sport è dominato in maniera sempre più esasperata dai numeri, veri fattori determinanti delle più svariate discipline agonistiche. Negli incontri di calcio, di basket, di pallavolo, di tennis, di pallamano, per riferirci alle attività sportive maggiormente praticate, è decisivo il punteggio finale per l’aggiudicazione della vittoria. Nell’atletica leggera la sostanza non cambia, anche se il riscontro numerico è riferito essenzialmente alle capacità individuali dell’atleta, il più delle volte costretto a battere se stesso per superare gli avversari. E la maggior parte dei “matches” di pugilato si decide ai punti, secondo le valutazioni di tre giudici. Il numero può essere tranquillamente considerato la chiave d’interpretazione dello sport, che molto spesso, nella sua  totale venerazione, sacrifica ogni altro concetto di spettacolo e di divertimento.
 
Il numero esalta, avvilisce, delude, entusiasma, amareggia, incoraggia.
Il numero crea campioni, ma nello stesso tempo può distruggerli. Il numero, purtroppo, è spesso la causa della violenza che periodicamente inquina il “pianeta sport”.
Ha assunto una tale potenza, questo imperatore arido e senza fantasia, che tutto viene perdonato, o al contrario condannato, nel suo nome.
Una partita vinta fa dimenticare uno spettacolo indegno, un record fa passare in secondo piano uno stile approssimativo o una condotta di gara insoddisfacente.
 
Ed ancora il numero è l’incontrastato protagonista di un altro aspetto inquietante del problema sport, quello dei praticanti che è troppo più basso della moltitudine di persone che ogni domenica si avvicina all’evento agonistico soltanto da spettatrice.
 
In quest’ottica, che si potrebbe rivelare esasperata solo ad un’analisi superficiale, una manifestazione sportiva come la “Su e Giù” assume un sapore di incredibile libertà.
 
Fuori da ogni schema preconfezionato, la “Su e Giù” vive senza numeri.
Tantissimi partecipanti, nessun record da battere, premi per tutti i partecipanti indipendentemente dal loro piazzamento al traguardo.
La “Su e Giù” è libertà, intesa soprattutto come possibilità psicologica di svincolarsi dai ristretti ambiti mentali che regolano il nostro vivere lo sport.
 
Una domenica da vivere in tuta, da protagonisti, senza assilli tattici o di risultato. Una giornata da dedicare a se stessi. Un’occasione da non perdere per la pratica di un’attività sportiva spensierata e ricreativa. Un momento da incorniciare e da conservare gelosamente nel cassetto dei ricordi.
 
La “Su e Giù” è libertà. Viviamola in tutta la sua intensità, e chissà che dopo non ci capiterà di tornare alle cifre con maggior distacco.
Sarebbe stupendo.
 
Antonio di Lallo
 
 
 
 
 
 

1986 – Che rabbia che fanno

No, no e no. Mi ribello alla “Su e Giù”. Mi ribello alla Virtus. Provocatori. Riesumazioni
“sessantottine”. Minoranze fomentatrici di disordini.
Ma cosa vogliono? Soprattutto, cosa vogliono dimostrare?
La nostra città non ha bisogno di questi “torrenti” umani per assurgere alle vette della partecipazione, della pratica ed anche del risultato sportivo.
 
Città esemplare. Per solerzia, ordine, pulizia, aspetto esteriore. Comunità da portare in palmo di mano, per onestà, solidarietà, senso civico.
Città giardino, non dimentichiamolo. Le piazze, le strade, gli angoli, sono tutto un rigoglio di essenze rare e profumate. Se poi ridotte a sterili “moncherini”, la colpa è solo del clima, freddo e poco partecipe della volontà di far bella Campobasso, sempre affermata dalle nostre amministrazioni.
 
Senso civico, dicevo.
Cos’altro, se non il senso civico indurrebbe bimbi e vigili genitori, a calpestare, livellare, rassodare con piedi, biciclette e motorette, le aiuole, i piccoli spazi verdi, le fiorerie che pure resistono ai rigori del tempo?
Dunque, cosa intendono dimostrare, questi tre o quattro migliaia di convenuti, quasi setta carbonara che voglia opporsi all’autorità costituita?
Che le strade debbano essere a disposizione dell’uomo? Eresia. Il braccio armato della “Fede” si scagli a colpire inesorabile chi pronunciò tali parole.
 
Anatema, Santa Inquisizione, rogo.
Accalcati o solitari, sono splendenti del luccichio metallico e della tronfia vanità soddisfatta, i meravigliosi automi a quattro ruote.
Ogni metro, che dico, ogni centimetro della nostra città freme, palpita di ferree iridescenze. Si accende e si spegne di scintillanti, improvvise “gibigianne” all’impatto dei raggi solari con le brillanti carcasse.
Questo serpente informe di uomini, donne, ragazzi, maleodorante di sudore e fatica, insozza il volto ferrigno di Campobasso. Bisognerebbe proibire simili, sconcertanti prove di palese ribellione. Anzi, una proposta: anche i marciapiedi, quei pochi per fortuna esistenti, siano interdetti ai pedoni ed assegnati alle auto. Per legge, non per tacito assenso come ora vediamo.
 
Non li capisco, questi ragazzi della Virtus.
Abbiamo uno stadio, il più bello. C’è posto per trentamila, per tutti quasi. E ci si viene a lamentare che lo “Sturzo” sia fatiscente o che il comunale d’atletica sia degradante. Che i giovani non abbiano un posto al sole per le loro attività ginniche.
 
Non li capisco proprio. Cosa vogliono dimostrare? Ebbe ragione Maria Antonietta di Francia, disse: “il popolo non ha pane, mangi le brioches”
Non hanno impianti (dicono e mentono, c’è Selva Piana), usino le strade.
Arroganti e presuntuosi. Sono tutti lì, oltre tremila nelle tute multicolori, pronti ad affrontare il percorso.
Che rabbia fanno. 
 
Massimo Vitale
 
 
 
 
 

1986 – Danzare la vita

Il risultato in maniera sempre più frenetica, si è asservito a tecniche sempre più raffinate, si è scordato che era nato come espressione di festa, di coralità, di gestualità libera e inventiva. Oggi siamo, anche nello sport, alla mitologia del prodotto finito: il risultato a qualunque costo. Stai a vedere che non tarderà neppure sul campo di provincia, magari sul nostro decrepito e fatiscente campo scuola di atletica leggera, a sopraggiungere la computerizzazione dell’allenamento e la programmazione della gara in microsequenze da torturatori. Vorrò vedere quanti altri giovani lo sport saprà accalappiare ancora!
 
Un po’ di nostalgia di libertà non guasterebbe. Un po’ di fuga all’indietro (a rischio di apparire retrogradi e trogloditi) per riscoprire il gusto antico della festa attraverso le gestualità più semplici e più naturali, ma sfuggendo alla moda che tenderà di irretire ancora questa spinta al recupero delle cose antiche, che sono sempre attuali come il camminare, il correre, il rotolarsi, l’arrampicarsi, il danzare…
 
Restituiamoci questa ventata di aria fresca, possibilmente senza farne una nuova ritualità a scadenza fissa che finisce col lasciare le cose come sempre.
 
Una “Su e Giù” all’anno è poca cosa se non ci riporta al gusto di danzare la vita un po’ più spesso; anzi direi che gioca un bel brutto scherzo a chi torna poi a vestire per tutto l’anno l’abito di spettatore programmato. Quasi un rito espiatorio per purificarsi dalla condizione permanente di sedentari impenitenti tutti intenti a guardare, assistere, patire una vita che merita di essere danzata per intero.
 
Leo Leone