10^ Su e Giù – 1983

1983 – Lo sport per tutti

Non so se quando abbiamo avuto l’idea della SU e GIÙ abbiamo preventivato il successo che di anno in anno essa è andata riscuotendo. Il successo in queste cose è il premio più giusto. Il solo premio giusto. Purché non sia “successo di pubblico e di critica” come si usa dire in gergo giornalistico a proposito di manifestazioni teatrali. La Su e Giù ha avuto negli anni successo di partecipanti: dai 700 del 1974 ai 3000 del 1982. La Virtus non batte cassa con questa manifestazione.
 
Non fa in piccolo una “Stramilano” o una “Stratorino” semplicemente perché Campobasso non è né Milano e né Torino dove ogni occasione può prestarsi per investire in borsa. La Virtus fa opinione e fa cultura per uno sport diverso, per uno sport a dimensione di tutti per uno sport che non esclude e non snobba.
Perciò tutti possono scendere per strada. I protagonisti di sempre nello sport, i dotati, gli atleti, gli arrivati. Ma soprattutto questa è l’occasione (troppo isolata purtroppo!) per coloro ai quali lo sport è benevolmente negato: i troppo piccoli, i troppo grandi, le madri, i padri, gli handicappati…i tifosi, handicappati a loro modo.
 
La Su e Giù diventa così quasi un annuale convegno sul tema “Lo sport per tutti” nella naturale sede che ad esso si addica: le strade, le piazze, le viuzze del centro storico, le periferie della città. Gli interventi realizzati con il linguaggio motorio e gestuale quello proprio dello sport, quello che coglie alla radice e comunica le motivazioni più genuine, più autentiche dell’uomo.
É forse questo l’aspetto più bello di questo appuntamento novembrino che la Virtus fissa ogni anno a Campobasso: il richiamo al recupero del senso della vita attraverso il movimento che non é tutto ma che porta con sè quel qualcosa di antico e di perenne che è il gusto della competizione, della festa, dello stare insieme.
 
La Su e Giù è un invito a vivere insieme dimensioni.
Strano invito, tra l’altro! Come se fosse necessario invitare la gente alla festa, alla musica, all’amore. Ecco, senza retorica, mi pare questo un invito fatto con semplicità e con opportunità, visto che sono le cose più semplici e più genuine quelle che si rischia sempre di archiviare.
 
Leo Leone
 
 
 
 

1983 – Una “Su e Giù” lunga trent’anni

La mia prima “Su e Giù” per la città è durata trent’anni.
‘Da quando, ragazzo di pochi anni, da un paese della provincia approdai a via Genova, in uno dei primi palazzoni di cemento della città nuova, ad oggi che vedo trascorrere, a Vazzieri, dal balcone della cooperativa, sciami colorati di giovani che la loro “Su e Giù” l’hanno appena iniziata.
 
É stata lunga e nessuno può dire che non sia costato impegno. E fatica. La fatica che ci voleva, allora, a trovare i compagni che, a scuola o nei giochi, corressero col tuo stesso passo, abituato alle angustie dei vicoli del paese, alle cadenze di altre parlate, agli orizzonti della campagna.
Anche perché i compagni dell’infanzia, che intanto si disperdevano uno a uno nelle più lontane città del mondo, per lunghi anni sono restati diversi dai ragazzi che vedevo accapigliarsi a via Ziccardi, dalla casa nella quale mia nonna si era ricongiunta alla città dove era nata, dopo il lungo esilio di maestra in provincia.
 
Quei ragazzi li ho riconosciuti e accettati più tardi, quando me li sono trovati intorno a via Tiberio, nel nuovo quartiere popolare, geometrico e pulito, o quando li ho trovati al CEP, già adulti, dispersi e inaspriti nella rarefazione del quartiere dormitorio.
In via Tiberio arrivarono spingendo i carretti o reggendo i cesti con cui portavano la poca roba di casa; spiavano, camminando, gli spazi nuovi che si aprivano ai loro giochi; dai “Monti”, immerso nella penombra del sole già caduto dietro la Fota, si vedeva appena S. Giorgio.
Intanto la città ogni giorno ci riportava nel suo cuore, nella sua testa: il “Mario Pagano” e il “Pilla”, la Biblioteca Provinciale, il corso, l’UPIM, il “Romagnoli”, la Piazzetta e il Mercato, il (vecchio) Cardarelli la villa “De Capoa”, l’”Ariston, e il “Savoia”, via Ferrari e via Marconi, i primi passi con la ragazza sotto la ferrovia o per via Ferrazzano, intima e suadente già, a pochi passi da piazza Savoia, il Municipio.
 
I fili di questi percorsi continuamente ripetuti intrecciavano una pania nella quale si spegnevano memorie, parlate, diffidenze, identità e si depositavano, invece, comportamenti, gusti, mentalità, bisogni, mode sempre meno distanti, sempre più uniformi.
 
Da questi luoghi di incontro e di assimilazione restavano escluse parti della città (i “Monti”, le contrade), storie sociali ed interiori importanti, irripetibili (le radici con i paesi e con alcuni ceti popolari), inquietudini e ansie di più vibrante modernità che ci prendevano il cuore e la mente ogni volta che portavamo lo sguardo oltre gli orizzonti del campanile e della provincia.
 
Sulla crosta, lucida e collosa, della città nuova si sono aperte crepe e ferite nelle quali i nostri figli si muovono con disinvoltura, quasi senza accorgersi dei lati di ambiguità e di contraddizione che presentano.
E così le sconnessioni e le spaccature di questa città rischiano di diventare motivi di distanza e di estraneità tra le generazioni.
Eppure, quando l’anno scorso i miei figli, contenti e sudati, mi hanno raccontato le cose che avevano visto correndo la “Su e Giù” mi è venuto un brivido. In una sola mattina di sport e di gioiosa vitalità, tutti i luoghi della mia trentennale “Su e Giù” sono stati ripercorsi, ricuciti.
 
Ieri mi hanno detto: «Quest’anno tocca agli adulti: vieni pure tu?”
Non so se ci sarò. Un po’ per vergogna di presentarmi all’improvviso in tuta e mutande di fronte a tanta gente, un po’ perché non sono certo che in una situazione nella quale ad adulti e giovani sono negati anche spazi limitati per correre e per giocare sia facile riconquistare un’intera città.
In ogni caso, la medaglia che i miei figli riporteranno per aver partecipato la conserverò con ogni cura: nella “Su e Giù, per la città ci siamo propri tutti.
 
Norberto Lombardi