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LEO LEONE E LO SPIRAGLIO

… e vissero felici e contenti… Così le favole, con i loro gnomi, folletti e fate animavano i sonni e i sogni dei bambini. Eppure, ancora oggi, non per tutti è così. Tanti sono costretti a fantasticare solo per affrancarsi da una quotidianità che priva loro del sorriso, della gioia, del gioco. Dell’essenziale. Bambini che mai hanno conosciuto il calore di una tenerezza. Bambini precocemente adulti.

         In questa società, tanto più globalizzata quanto meno solidale, sempre più proiettata verso l’effimero, il fenomeno sembra addirittura ribaltato: adulti perennemente bambini o prematuramente vecchi.

               In tempi non del tutto andati, i genitori accompagnavano i loro figlioli quel tanto necessario per renderli autonomi, secondo i dettami della società, e poi via. La maggiore età costituiva il biglietto di sola andata per il viaggio della vita. Oggi ci si ricorda di essere maggiorenni solo nel giorno del diciottesimo compleanno, magari davanti a un plotone di birre, cocktail o superalcolici … e poi più nulla. Si torna ad attendere, a piangersi addosso, a pretendere.

              Verso la metà del secolo scorso, arrivò in Molise, nelle vesti di istitutore degli orfani di guerra, un giovane straordinario, con un nome ed un cognome che la dicevano lunga, onomatopeici: Leo Leone. Determinato, colto, lungimirante volle offrire ai ragazzi di Campobasso, ma soprattutto a quelli del contesto meno abbiente della città, l’opportunità di realizzare un percorso di crescita che, attraverso il gioco, li educasse al rispetto, alla generosità, alla correttezza. E così nacque la Virtus.

             Come il pifferaio magico di Hamelin, raccolse sul campetto degli Orfani di guerra, decine e decine di ragazzi.

           Il gioco del calcio e, successivamente, l’attività di atletica leggera furono gli strumenti che il professore, così lo chiamavano tutti, adottò per catalizzare, come il miele per gli orsi, l’attenzione e stimolare l’entusiasmo di quei giovani che fino ad allora avevano avuto la strada come ricettacolo da cui partire per scorribande e baruffe.

           In breve si unirono a loro anche quelli della città bene e si diede inizio alla più bella favola che mai in Molise fosse stata raccontata.

       Leo, religioso marianista, immaginò e realizzò un Villaggio, che non a caso chiamò Stella Maris. Una comunità regolamentata ed organizzata dagli stessi ragazzi che, sempre più responsabilizzati, furono in grado di decidere ed operare.

            Dopo circa un decennio dalla fondazione, scientemente, allorché constatò che erano maturi i tempi perché i giovani continuassero da soli sul percorso da lui tracciato, si fece da parte. Ma, come il buon padre di famiglia, non perse mai di vista la sua creatura, ed i suoi interventi, saggi e preziosi, costituirono il valore aggiunto della Virtus.

            Due anni fa, in punta di piedi, come quando si inserì nel tessuto sociale molisano, con la stessa riservatezza e dignità ha accostato delicatamente la porta alle sue spalle lasciando, comunque, come aveva fatto in vita, uno spiraglio, lo stesso che gli ha permesso, nel corso di oltre mezzo secolo, di non perderci mai di vista. Lo stesso che ci consentirà di intravederlo ogni qual volta ne avvertiremo l’esigenza.

Roberto Palladino

07/03/2018