Nell’ottobre del ’68 la squadra giallo blu, acquisito il titolo della rinunciataria S.C. Aurora di Campobasso, si iscrive al Campionato di 1^ categoria.

Il gruppo si ricompone. La voglia è tornata e l’entusiasmo pure.

La Virtus, per importanza, è la seconda squadra del capoluogo.

A questa esperienza, che dura due anni, prendono parte Giuseppe Lalli, Vincenzo Morena, Gaetano Mancini, Domenico Rossodivita, Luciano Levri, Bernardo Cosimi, Franco Paparella, Franco Colacarro, Gelsomino Manzo, Claudio e Mauro De Libero, Biagio Pifano, Nicola e Roberto Palladino, Raffaele Di Risio, Nicola Trolio, Nicola Baranello, Franco Palladino, Michele Pietrunti, Giovanni D’Alauro.

I due Campionati, impegnativi e stimolanti, sono ricchi di una aneddotica spumeggiante che fotografa il periodo.

Nicola Palladino ci consegna alcuni episodi di quella esperienza.

 

Le fatiche di… Gabriele

Stagioni di fuoco, in tutti i sensi, quelle del ‘68-‘69 e ’69-’70! Di fronte avevamo autentici satanassi, rotti alle astuzie del mestiere, ‘tizzoni d’inferno’, come li avrebbe apostrofati Tex Willer.

Al confronto, noi si era un coro di voci bianche, anche se qualcuno, però, aveva un timbro robusto, era di temperamento esuberante e a bassa soglia d’infiammabilità.

In panchina sedeva Bruno Cosenza, un fratello maggiore, non un mister.

Gabriele De Nigris, buono come il pane, non risparmiava, però, carezze a chi lo provocava. E Luciano Levri, centrattacco forgiato nella fucina di Vulcano, poi missionario in Albania, lasciava lividi solo a sfiorarlo.

Una volta, contro l’Apice, in una partita tesa, nervosa e disputata sotto una pioggia battente, vedemmo un proietto infilarsi sotto la nostra panchina. Era uno degli avversari che aveva avuto la pessima idea di sfruculiare Gabriele. Il nostro, spazientito, gli aveva rifilato una spallata di tale nerbo da farlo volare ed atterrare tra i piedi dei compagni panchinari.

 Un’altra volta, contro la Mondragonese, subito dopo una mischia furibonda nella nostra area, si alzò un urlo raccapricciante. A terra si torceva come un capitone uno dei loro attaccanti. ‘‘Non preoccupatevi – ci rassicurò Gabriele –  non è niente, gli ho solo tirato l’ombelico!’’.

E, sempre lui, ne fece un’altra che ancora adesso ci diverte. Si giocava a Bojano, nel Sabato pre-pasquale, e gli avversari erano i padroni di casa. Ci fu un contrasto, sulla linea del centrocampo, da svellere un paracarro e uno dei loro restò a terra. Gabriele intervenne con prontezza e lo sollevò di peso, dicendogli: “Alzati fratello, è Pasqua di resurrezione!”. Sorrise anche l’arbitro.

Sono stati episodi rari che non si sono più ripetuti. E se, ancora oggi, Gabriele dice di non provarne il più piccolo rimorso, vuol dire che in fondo gli incauti se l’erano proprio andata a cercare.

 

 

Faccia da preti

Il giovedì, l’U.S. Campobasso, puntualmente, ci invitava a fare la partita di collaudo con la prima squadra, davanti ad una tribuna solitamente gremita. Noi non ci stavamo a fare da punch-ball ma per ben figurare profondevamo l’impegno come quello di una gara ufficiale.

Ricordo quella volta che chiudemmo in vantaggio il confronto con i “Lupi” e, polemicamente, la tribuna coprì la Virtus di applausi.

Davanti allo spogliatoio, il trainer dei rosso blu, Armando Leonzio, infastidito dall’esito dell’incontro, ci apostrofò con un sarcastico e spregioso ‘faccia da preti’. Non sembrò un complimento.

Lo stesso mister s’imbufalì ancora di più quando, nel tardo pomeriggio, nella sede di un quotidiano incontrò Nicola Palladino e Claudio De Libero che raccontavano l’impresa.

A proposito di Claudio. Giocava un calcio speciale, ispirato allo sci alpino. Usava gli avversari come paletti per i suoi irresistibili slalom; se ne saltava qualcuno era solo perché lo aveva infilato in tunnel. Pochi se ne sono visti alla sua altezza!

Normalmente, con i giocatori delle formazioni rivali, mai si sono avuti seguiti fuori dalle righe. Tutto terminava nei 90’. Una stretta di mano archiviava la sfida e spesso inaugurava o consolidava un rapporto di rispetto e, in qualche caso, di amicizia.

A distanza di anni, incontrando alcuni degli avversari più agguerriti, al primo accenno sul come eravamo, si tira fuori dall’archivio della memoria il tesoro del ricordo di sfide incandescenti e appassionanti ma, soprattutto, si avverte palpabile la stima cresciuta sul campo e trasferita poi nella vita.

Michele Parziale, oggi “mago” elettrauto, fu mediano ostico e tignoso con il quale non era facile spuntarla. Ogni qual volta lo visitiamo in officina, trascura per un momento gli altri clienti per andare in soccorso dei vecchi avversari e, appena possibile, riproporre, immancabilmente, episodi legati ai trascorsi agonistici. E ci salutiamo con un abbraccio, come avessimo fatto goal. Strano, perchè noi, insieme, non abbiamo mai giocato! Ma capita anche con altri, come con Gennaro Ventresca, docente e giornalista, che giocava di fino per sembrare Rivera e che con la Virtus puntualmente perdeva. E potrei andare avanti ancora per un bel po’.

          In fondo, l’apprezzarsi oltre il rettangolo di gioco è l’unico risultato che la schedina non contempla, ma il solo che resiste al tempo. I successi sportivi grandi e piccoli sono, invece, fatalmente destinati a declinare e a riposare mestamente tra coppe e trofei, nella bacheca dell’umana vanità.

10/07/2014