42^ Su e Giù – 2015

2015 – La nostra Su e giù é una storia in mezzo a tante altre storie

Come si racconta la Su e Giù?
Come si racconta la storia di una città che corre lungo le strade e si dipinge nei volti e nelle vite dei tanti che in questi anni hanno partecipato alla festa più bella che c’è?
La storia potrebbe cominciare così .
C’era una volta un bambino meraviglioso che aveva tanta voglia di correre ma con fatica riusciva a malapena a camminare.
Alessio non correva ma volava, gli dicevo sempre, perché aveva le ali degli angeli. Così, in un’assolata mattina di sette anni fa abbiamo deciso di correre insieme. Con il passeggino. Senza paura delle salite e della strada. Con il sorriso.
Come sempre.
Ed è iniziata la nostra prima Su e Giù.
La gara con gli occhi di un bambino ha il gusto del colore, di una sfida divertente, di un sano agonismo che da adulti perdiamo per correre dietro a traguardi narcisisti e senza personalità. E gli occhi di Alessio hanno sempre raccontato di una felicità che non si può descrivere ma solo vivere.
Poi è sceso dal passeggino. E la strada è diventata anche ostacolo. Non sempre superabile. Eppure la nostra Su e Giù non ha mai cambiato colore. Mai.

E siamo ripartiti. Stavolta mano nella mano.
La sveglia al mattino della domenica novembrina tanto attesa ha sempre un gusto speciale. Il silenzio irreale del centro città chiuso al traffico ti restituisce il vociare proveniente dalle case, dalla strada e gli odori dei caffè di chi ancora usa la moka al mattino. Le tute sono pronte sulle sedie dalla sera precedente insieme alle magliette di cotone con i numeri di iscrizione fermati con un po’ di filo.
Appena alzati la prima cosa è spalancare il balcone: ” che tempo fa? Speriamo che non piove”. E il sole che sorride nell’autunno tiepido di questi ultimi anni ci rincuora.
E ci sono state anche invece le domeniche di pioggia:
“Ci divertiremo ancora di più”, ho sempre detto ad Alessio raccontandogli di quando da ragazzina un novembre c’era anche un po’ di neve e, nonostante il diluvio, abbiamo corso lo stesso inebriati da quel misto di sudore e pioggia che a noi ragazzi regalava una spavalda adrenalina ma angosciava le nostre mamme:
“come sei sudato!!! Domani c’è scuola, se ti ammali non voglio sapere niente!!!”
Andiamo prima per il corso, cosi incontriamo gli amici. Ci sono sempre tutti e tutti quelli con cui non riesci a vederti mai, ma sai che ci sono. E quella mattina siamo tutti lì a celebrare una gara corale che sa di buono.
I ritardatari sono in fila al box iscrizioni, per Alessio è inconcepibile. Lui è talmente preciso che dobbiamo avviare sempre tutto per tempo. “Mamma l’acqua” ce l’ho, ce l’ho….la
sera vicino alla tuta ho messo un post it per ricordarmene senno’ chi se lo sente…Male che va la prendo al Bar Centrale…
Ci si aggira in attesa cercando volti conosciuti ma poi in effetti non ha molta importanza, Campobasso è un paesone, ci conosciamo un po’ tutti. Qualcuno sui social ha postato già le prime foto, in partenza siamo tutti più belli, le foto dell’arrivo raccontano di debiti di ossigeno esilaranti!
I bambini si ritrovano e seguono con lo sguardo Francesca come sempre a caccia di foto. Vogliono esserci, vogliono farsi vedere, avere la loro foto nella galleria sul sito. Si sbracciano e arriva lo scatto.
Il brusio che si alza ci riporta tutti con l’attenzione verso la Piazza, è arrivato il Sindaco. Tra poco si parte. Si alza una piccola cortina di fumogeni colorati… 3..-2 -1
bang! VIA!
I bambini stringono forte la mano di Alessio per non perdersi e per aiutarlo, è una catena di amore e felicità bellissima. Ci sorpassano tutti e a Corso Umberto siamo già più indietro insieme ai passeggini e ai padroni di cagnoni e cagnolini che proprio non ne vogliono sapere di correre. Ma poi che importa? Ci stiamo divertendo!
A metà percorso Alessio lascia la mano dei suoi amichetti, sa che loro vogliono correre veloce, ci ritroveremo all’arrivo. E la nostra passeggiata continua.
Al Camposcuola ogni anno gli ricordo che ” qui mamma correva veloce’
“…una vita fa, con il mio papà sportivo Nicola Palladino…Che tempi.
Risaliamo.
E le scale di San Leonardo hanno sempre il crocchio di anziani signori che incoraggiano tutti gli atleti. Alessio scende piano appoggiandosi alla ringhiera, ma all’ultimo gradino si abbandona a liberatori ringraziamenti ai supporters.
Stiamo per arrivare e non siamo nemmeno così indietro. Abbiamo recuperato molto nelle discese e nei luoghi pianeggianti, non faremo brutta figura.
Via Pietrunto, altezza Poste Centrali. “Mamma, io da solo”. Spaccone. Deve fare l’ingresso trionfale per il Corso, l’ultimo tratto è solo suo. Lo precedo per immortalarlo all’arrivo. E lui percorre quel tratto come sul red carpet. Si ferma, saluta, stringe mani. L’anno scorso volle la foto col Presidente della Regione che era a guardare gli atleti all’arrivo “batti il cinque, Paolo”. Pure sbrafone.
Ci siamo, il Traguardo.
Ed eccola, luccicante, nelle mani di graziose signore o signorine, la medaglia.
Lo riempiono di caramelle. Ma lui vuole solo lei. La sua attesa medaglia da appendere al collo e far vedere a tutti i suoi amichetti quando vengono a giocare a casa.
Non è facile per lui fare la Su e Giù. E’ una stanchezza a volte ingestibile. Ma è sempre arrivato fino alla fine.
Perché lo vuole.
Lo sport è da sempre la metafora della vita. I traguardi sono tutti importanti, purché ci siano, purché siano desiderati, sudati. La nostra Su e Giù è una storia in mezzo a tante altre storie.
La medaglia di Alessio, uguale a tutte le altre, è il simbolo di una partecipazione che è sempre una vittoria.
Ogni anno. Ogni giorno.

Alberta De Lisio

 
 
 

2015 – Campobasso, città della Su e Giù

Ci sono tante storielle intorno alla Su e giù. Il cane mascherato che annusò i piedi al sindaco Di Bartolomeo, e Fantomas, l’altro amico a quattro zampe di una signora pienotta e un po’ avanti negli anni che prima della partenza pensò bene di sciogliere l’animale, tanto che un tale con la barba biblica le ricordò, come un comandamento:
“Il cane va tenuto al guinzaglio”. E, lei, pronta: “Lo sa qual è il bello dei cani? E che sono disinteressati. Non stanno con te perché vogliono qualcosa, ma perché ti vogliono bene. E il mio cane vuole bene alla Su e giù”.
Avrei tante storielle, le ho raccolte in un manoscritto. Ma, state tranquilli, non starò qui a raccontarvele. Mi piace invece voltarmi per un attimo indietro e rivedere la piccola taglia di Alè, il cane di Nicola che fu la classica mascotte della Virtus, sino a quando un autista infedele, non gli tagliò la vita sull’asfalto. La Su e giù è solo la punta dell’enorme iceberg che paragonerei alla Virtus che in modo sommerso lavora da quando eravamo ragazzi, per far trionfare i diritti dello sport e tenere unite le famiglie.
Credo che sia giunto il tempo di dedicare la corsa autunnale campobassana anche ai nostri amici quadrupedi che molte volte mostrano d’avere più sensibilità dei bipedi. Confido che prima o poi gli organizzatori arriveranno a tanto. Perché gli animali amano la festa dipinta dei colori giallo e blu e quasi chiedono ai loro padroni di far parte dell’esercito che si ritrova davanti al “monumento” e che, dopo una piacevole cavalcata di circa 7 chilometri, arrivano sotto al Municipio, per mettersi vanitosamente al collo la medaglia, nata da un bozzetto del mio amico Domenico Fratianni.
Faccio subito chiarezza: a nessuno venga in mente di pensare che la Su e Giù sia la corsa dei cani. I cani c’entrano solo di striscio. Sono gli uomini, specie i bambini che aspettano questa giornata di metà novembre come la loro Befana. Non vado lontano, invece, se affermo che Campobasso può essere definita la città della Su e Giù.
Fu felice l’idea di scriverlo, col pennello intinto in un giallo squillante, sul muro di sostegno di una scarpata di Sant’Antonio dei Lazzari. Da allora, chi ama la nostra città, ci ha iniziato a pensare. E si è detto, come chi firma questa nota che mi è stata richiesta, come ogni anno, dalla deliziosa Serena Palladino, che ben venga il connubio tra la splendida gara su strada non competitiva della Virtus e il nostro capoluogo che va avanti a colpi di mezzi endecasillabi. In attesa di ritrovare l’aspetto che gli compete.
A tanti di quei cani che affiancheranno i loro padroni si dirà ancora una volta: “Gli manca la parola”. Sono del resto tutti cani speciali quelli che si mettono la pettorina col numero di gara al collo. Come sono tutti D’Artagnan i circa cinquemila concorrenti che daranno vita al giorno di sport attivo più fecondo della nostra regione.
Ecco perché sento sempre più forte il prurito di spingermi a mettere un punto di saldatura tra Campobasso e Su e Giù. Del resto siamo alla 42^ edizione. Nel segno della più radicata tradizione.
Scrivere non significa obbligatoriamente pubblicare. Ma siccome so che questo pezzo troverà spazio nel periodico della Virtus e verrà letto da migliaia di persone ne approfitto per rinnovare il gradevole slogan: “Campobasso, città della Su e Giù”

Gennaro Ventresca

 
 
 
 

2015 – La Su e Giù tra riti e visioni

Era il 1983, e da allora non me ne sono persa una… dapprima con mia mamma, poi con i nonni, e poi finalmente da solo. Non ero il più giovane, con i miei quattro mesi e mezzo suonati: mio cugino Giuseppe, nel passeggino accanto, ancora non ne compiva due!
Da allora, non ne ho mancata una. Correre la Su e Giù è una mia Tradizione dell’anima: rivivo ogni volta le stesse emozioni, assaporo le medesime sensazioni. É un’ancora del Tempo, come l’odore del sugo la domenica o le filastrocche dei giochi d’infanzia. Come le usanze e i riti di cui un popolo ha memoria, ed ogni anno rinasce.
In un mondo che si evolve continuamente, che corre alla velocità della luce verso il futuro, che sradica concezioni antiche, la Su e Giù segna il passo. Consapevolmente rimane indietro, defilata. Come un saggio vecchietto, rallenta per godere del viaggio; assapora gli eventi, dilata gli istanti. Va con calma la Su e Giù, eppure, imperterrita, prosegue il suo percorso, proiettata in avanti, ma con lo sguardo che, di tanto in tanto, si volge indietro per esser certa di non sbagliare strada.
É legata alle proprie tradizioni la Su e Giù, ai piccoli riti collettivi, organizzativi e perché no, apotropaici, che da sempre ne caratterizzano l’essenza e ne propiziano la buona riuscita. La scelta del giorno della gara, ad esempio, avviene da quarantadue anni nello stesso modo, ma non mi è dato rivelarne il segreto… la scaramanzia ha le sue regole!
Altri rituali invece possono essere svelati.
… É la vigilia della gara dell’anno scorso, del precedente, di quelli prima ancora. Seduti attorno ad un tavolo, consumiamo una cena ricca dei sapori della nostra terra. La scena si rinnova dalla prima edizione, quando una lampada a petrolio rischiarava il tenebroso labirinto vegetale della Villa de Capua ed illuminava un’improvvisata panchina invasa dai sapori semplici del nostro Molise: una forma di cacio, salsicce e pancette, una frittata con le cipolle ristorano, allora come oggi, gli animi dei virtusini sfiancati da una giornata densa ed impegnativa. Le risate irrompono nel silenzio della serata autunnale, esorcizzando la tensione per l’indomani; gli occhi di tanto in tanto volgono verso l’alto, provando a leggere tra le stelle le evoluzioni del meteo in vista dell’indomani.
Terminata la cena, si parte tutti insieme alla volta della città Vecchia. Le scene, i suoni, gli odori che ci aspettano sono gli stessi di quarantadue anni fa: i vicoli angusti, i portali illuminati dalle luci arancio dei lampioni, le scalinate su cui di tanto in tanto si intravede la sagoma sfuggente di un gatto spelacchiato; c’è una finestra socchiusa da cui scaturiscono le voci di un vecchio televisore, ed i panni appesi ad asciugare giocano col vento dispettoso…
Siamo cosi. Ingenui, ci nutriamo di ricordi e di visioni. Malinconici, ci aggrappiamo al lieto fine di una favola antica. Coerenti, sosteniamo i sogni di chi ci ha preceduto.
La Su e Giù è come noi, non sfugge al passato, ma lo porta con sé nel suo viaggio meraviglioso; ne custodisce gelosamente i segreti, soffiando la polvere che tenta di depositarsi. É speciale, perché cambiando rimane se stessa.
Ci troverete allora, ancora una volta, a vegliare sui traguardi, con vento, freddo e le stelle a farci compagnia.
Ci scorgerete lì ad aspettare lo sparo del Sindaco prima di riversarci, come onda anomala, lungo il Corso e poi nei vicoli, verso l’amata Foce. Sorriderete scovandoci a bere il the al limone, una volta preparato dalle mamme ed oggi dagli scout, in barba ai moderni integratori energetici.
Nelle notti fredde e asciutte ci scoprirete, furtivi ed armati di secchiello e pennelli, a ravvivare il giallo di una scritta tanto semplice quanto diretta, efficace e sincera: CAMPOBASSO, LA CITTÀ DELLA SU E GIÙ.

Francesco Palladino

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