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Nell’ottobre del ’68 la squadra giallo blu, acquisito il titolo della rinunciataria S.C. Aurora di Campobasso, si iscrive al Campionato di 1^ categoria.

Il gruppo si ricompone. La voglia è tornata e l’entusiasmo pure.

La Virtus, per importanza, è la seconda squadra del capoluogo.

A questa esperienza, che dura due anni, prendono parte Giuseppe Lalli, Vincenzo Morena, Gaetano Mancini, Domenico Rossodivita, Luciano Levri, Bernardo Cosimi, Franco Paparella, Franco Colacarro, Gelsomino Manzo, Claudio e Mauro De Libero, Biagio Pifano, Nicola e Roberto Palladino, Raffaele Di Risio, Nicola Trolio, Nicola Baranello, Franco Palladino, Michele Pietrunti, Giovanni D’Alauro.

I due Campionati, impegnativi e stimolanti, sono ricchi di una aneddotica spumeggiante che fotografa il periodo.

Nicola Palladino ci consegna alcuni episodi di quella esperienza.

 

Le fatiche di… Gabriele

Stagioni di fuoco, in tutti i sensi, quelle del ‘68-‘69 e ’69-’70! Di fronte avevamo autentici satanassi, rotti alle astuzie del mestiere, ‘tizzoni d’inferno’, come li avrebbe apostrofati Tex Willer.

Al confronto, noi si era un coro di voci bianche, anche se qualcuno, però, aveva un timbro robusto, era di temperamento esuberante e a bassa soglia d’infiammabilità.

In panchina sedeva Bruno Cosenza, un fratello maggiore, non un mister.

Gabriele De Nigris, buono come il pane, non risparmiava, però, carezze a chi lo provocava. E Luciano Levri, centrattacco forgiato nella fucina di Vulcano, poi missionario in Albania, lasciava lividi solo a sfiorarlo.

Una volta, contro l’Apice, in una partita tesa, nervosa e disputata sotto una pioggia battente, vedemmo un proietto infilarsi sotto la nostra panchina. Era uno degli avversari che aveva avuto la pessima idea di sfruculiare Gabriele. Il nostro, spazientito, gli aveva rifilato una spallata di tale nerbo da farlo volare ed atterrare tra i piedi dei compagni panchinari.

 Un’altra volta, contro la Mondragonese, subito dopo una mischia furibonda nella nostra area, si alzò un urlo raccapricciante. A terra si torceva come un capitone uno dei loro attaccanti. ‘‘Non preoccupatevi – ci rassicurò Gabriele –  non è niente, gli ho solo tirato l’ombelico!’’.

E, sempre lui, ne fece un’altra che ancora adesso ci diverte. Si giocava a Bojano, nel Sabato pre-pasquale, e gli avversari erano i padroni di casa. Ci fu un contrasto, sulla linea del centrocampo, da svellere un paracarro e uno dei loro restò a terra. Gabriele intervenne con prontezza e lo sollevò di peso, dicendogli: “Alzati fratello, è Pasqua di resurrezione!”. Sorrise anche l’arbitro.

Sono stati episodi rari che non si sono più ripetuti. E se, ancora oggi, Gabriele dice di non provarne il più piccolo rimorso, vuol dire che in fondo gli incauti se l’erano proprio andata a cercare.

 

 

Faccia da preti

Il giovedì, l’U.S. Campobasso, puntualmente, ci invitava a fare la partita di collaudo con la prima squadra, davanti ad una tribuna solitamente gremita. Noi non ci stavamo a fare da punch-ball ma per ben figurare profondevamo l’impegno come quello di una gara ufficiale.

Ricordo quella volta che chiudemmo in vantaggio il confronto con i “Lupi” e, polemicamente, la tribuna coprì la Virtus di applausi.

Davanti allo spogliatoio, il trainer dei rosso blu, Armando Leonzio, infastidito dall’esito dell’incontro, ci apostrofò con un sarcastico e spregioso ‘faccia da preti’. Non sembrò un complimento.

Lo stesso mister s’imbufalì ancora di più quando, nel tardo pomeriggio, nella sede di un quotidiano incontrò Nicola Palladino e Claudio De Libero che raccontavano l’impresa.

A proposito di Claudio. Giocava un calcio speciale, ispirato allo sci alpino. Usava gli avversari come paletti per i suoi irresistibili slalom; se ne saltava qualcuno era solo perché lo aveva infilato in tunnel. Pochi se ne sono visti alla sua altezza!

Normalmente, con i giocatori delle formazioni rivali, mai si sono avuti seguiti fuori dalle righe. Tutto terminava nei 90’. Una stretta di mano archiviava la sfida e spesso inaugurava o consolidava un rapporto di rispetto e, in qualche caso, di amicizia.

A distanza di anni, incontrando alcuni degli avversari più agguerriti, al primo accenno sul come eravamo, si tira fuori dall’archivio della memoria il tesoro del ricordo di sfide incandescenti e appassionanti ma, soprattutto, si avverte palpabile la stima cresciuta sul campo e trasferita poi nella vita.

Michele Parziale, oggi “mago” elettrauto, fu mediano ostico e tignoso con il quale non era facile spuntarla. Ogni qual volta lo visitiamo in officina, trascura per un momento gli altri clienti per andare in soccorso dei vecchi avversari e, appena possibile, riproporre, immancabilmente, episodi legati ai trascorsi agonistici. E ci salutiamo con un abbraccio, come avessimo fatto goal. Strano, perchè noi, insieme, non abbiamo mai giocato! Ma capita anche con altri, come con Gennaro Ventresca, docente e giornalista, che giocava di fino per sembrare Rivera e che con la Virtus puntualmente perdeva. E potrei andare avanti ancora per un bel po’.

          In fondo, l’apprezzarsi oltre il rettangolo di gioco è l’unico risultato che la schedina non contempla, ma il solo che resiste al tempo. I successi sportivi grandi e piccoli sono, invece, fatalmente destinati a declinare e a riposare mestamente tra coppe e trofei, nella bacheca dell’umana vanità.

10/07/2014


La Virtus vive nel 1968 un suo speciale sessantotto, straordinario per gli effetti che produce e singolare nei modi con cui si manifesta. E’ l’anno del discrimine, che non recide le radici dell’albero ma nemmeno ne alimenta la nostalgia. Nella continuità della trama valoriale, si staglia, però, con chiarezza un prima e un dopo: alla fertile ed entusiasmante stagione di Leo Leone sarebbero seguite, diverse e coinvolgenti, quelle che avrebbero fatto rotta verso l’ignoto per approdare gloriosamente all’oggi.

A livello planetario succede che la gioventù con impressionante deflagrazione, mai più ripetuta, mette in discussione ciò che prima era dato per scontato e prova a fissare i punti di una condizione umana nuova e sconosciuta, libertaria e ribelle, centrata sul ripudio del “padre”: sul rifiuto dei costumi e delle intenzioni degli adulti.

Si solleva una grande speranza antiautoritaria.

Da noi Virtus, nel piccolo, non è così. Il “padre” ha già  abdicato, mesi prima, e comunicato la decisione al suo staff durante l’intensa riunione nel settembre del 1967. 

Quei giovani, destinati a succedergli, sono scossi dalla sua risoluzione. Si sentono come traditi, di colpo fragili e a corto di carburante per continuare l’avventura. Sanno che lo svezzamento non dura in eterno e che sarebbe fatalmente giunta l’ora di camminare con le proprie gambe. Sembra, però, che tutto sia avvenuto troppo in fretta.

Come andare avanti senza il leader di tante battaglie sportive e non, senza il capitano coraggioso sempre pronto ad accettare la sfida di un territorio spesso ostile ed indolente? Sotto quali ali trovare rifugio e dove attingere il coraggio di proporre e di fare? Chi li avrebbe guidati alla processione del Venerdì Santo con la bandiera in mano e in gola il canto ‘We shall overcome’, una canzone di lotta e d’amore?

           La novità li atterrisce e c’è chi, tra loro, propone di  mollare i pappafichi, sciogliere le fila ed impegnarsi diversamente. Incombe, infatti, su certuni il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro e su altri la scelta universitaria che, obbligatoriamente, li avrebbe portati fuori Regione. Qualcuno, invece, come Vincenzo Morena, ha già in tasca la cartolina di precetto per il servizio militare.

L’idea di ammainare le vele, in fondo, non è campata in aria e, per giunta, trova conforto nell’alibi di un pensiero consolatorio e, al momento, di facile presa: si è già durato tanto in una Regione dove ogni  iniziativa non va oltre il tempo di un amen. Si è fatto un bel pezzo di strada e tirato la volata ad una Regione che resta immancabilmente dietro. E soprattutto si è destata l’attenzione verso un certo tipo di sport e faticosamente si sono aperti squarci nella mentalità di un ambiente ingessato, dove il passato non passa mai. L’attività sportiva proposta dalla Virtus ha allenato nei giovani il senso della solidarietà, una chiave determinante del loro futuro, e dato ad essi l’opportunità di imparare a guardare la vita senza rassegnazione e senza restare schiacciati nel presente.

Insomma, trasferire in altre mani un bel patrimonio di idee e di esperienze, non pare un’operazione peregrina né riprovevole. Anzi, una scelta lodevole, quasi un atto di generosità.

Ma si decide di restare, di mettersi al timone ed affrontare il mare aperto. Lo staff dirigenziale, però, si sarebbe subito scremato per i personali impegni, inderogabili ed incalzanti.

Quelli che rimangono sono fermamente persuasi che si sarebbe cresciuti solo in ragione dei problemi da affrontare.

Una grande sfida. E così è stato.

 

Il nodo al cuore

Qualcuno di loro tornerà a “casa” quarant’anni dopo. Durante la lunga parentesi, si è tenuto, però, aggiornato sulle sorti e l’attività del gruppo cui  ha anche fatto visita, ogni tanto, con rapide incursioni.

 Ma, finalmente, Nicola Baranello riapproda, dopo aver seguito le correnti della vita, nella sua piccola Itaca sentimentale e sportiva. Un atto d’amore per i colori giallo blu, con i quali ha imparato l’alfabeto emotivo e mosso i primi passi verso il mondo adulto.

Ha i capelli attraversati da fili d’argento e la barba ben curata. Lascia a casa la  graniglia grigia, veste casual e fa un salto in sede  sociale. Sa di una riunione di lavoro  e che c’è gente.  Vuole, perciò, subito, prendere i contatti, sondare l’ambiente e poi scendere in campo.

Teme di trovare le cose cambiate e di dover  rimpiangere l’atmosfera di quei giorni magici che il ricordo ha reso ancora più unici ed incantati. S’interroga sugli amici di allora: “Quanti saranno ancora lì?”. S’imbatte in  quelli che era certo di trovare: sembrano assai stanchi ma, come una volta, per niente rinunciatari. E’ accerchiato da  giovani ai quali, dopo averne tanto sentito parlare, risulta già familiare senza averlo mai conosciuto. “Tu sei quello che sfacchinava in campo mentre alcuni narcisi si facevano i belli….., Nicola, Claudio…!”.

Si rivede nei loro volti puliti e si sente rinfrancato.

Cerca, allora, un posticino alla tavola imbandita. Basta stringersi un po’che lo trova.

Capita accanto ad un giovane ingegnere, Renato Palladino, di grana fine come la sua e da anni punto di forza dell’organizzazione societaria. Di fronte a loro, vertice del triangolo, miracolo della geometria evocata da quelle presenze, siede il presidente, l’immarcescibile ingegnere Carmine Dato. Tra un boccone e l’altro e, come Socrate suggerisce, qualche buona bottiglia di rosso, si parla per ore, si discute ed ognuno interviene per dire la sua.

Nicola ascolta. Vuole capire.

E intuisce, confortato,  che la Virtus ha conservato lo stesso stile di vita e l’identica griffe morale. I Valori non hanno perso la maiuscola. I gesti semplici della piccola etica quotidiana permangono inossidabili e rigorosi. Ritrova l’abbraccio che non ha fretta di sciogliersi, la stretta di mano che non scivola o si ritrae imbarazzata, il sorriso franco che non bara. Scopre che il ‘buongiorno’ è ancora un augurio sincero e non un modo di dire dettato dal tic dell’abitudine.

 Sono, in fondo, gli stessi arnesi che s’era  portato nella cassetta degli attrezzi per fare la quotidiana manutenzione delle intense giornate di studio nella facoltà d’ingegneria a Napoli. Sono i comportamenti con cui, senza avere accanto il genio della lampada, ha affrontato, poi, la vita professionale, trascorsa, in pole position, all’interno di ambienti e aziende importanti, a cominciare dalla F.I.A.T.

In un mondo di alligatori, il pesciolino rosso ha sempre, con coraggio, sostenuto fino in fondo le ragioni della pulizia morale, della trasparenza, della responsabilità personale e della correttezza dei rapporti.

E adesso che è tornato può, evviva!, sciogliere il nodo  al cuore, fatto lì a ricordargli che se c’è un giorno per partire, ce n’è sempre uno per tornare e rigenerare la memoria prima che divenga detrito ed invecchi in un sogno.

10/07/2014


Ci sono ricordi che la memoria visita con disagio, in punta di piedi, a luci spente. Quasi a non voler ridestare emozioni troppo forti e solo per il compito etico di non seppellire nel passato persone e vicende che possono tornare ancora a palpitare e ad appartenere preziose alla coscienza di una comunità.

                Ma ci sono giornate che, come cantava De Andrè, andrebbero infilate in una grande pattumiera e lì lasciate.

                Ma la memoria ha i suoi doveri.

                E torniamo, allora, a quella domenica di ottobre.

E’ una mattinata frenetica, trascorsa a cercare amici e parenti disponibili ad accompagnare la squadra a Riccia. La Virtus deve disputare il primo turno del Torneo Mensitieri di 2^ categoria.

                Si stenta parecchio ad organizzare la trasferta, tant’è che torna utile anche una vespa sulla quale sarebbe dovuto salire Luigi Di Nunzio che, però, chiede a Gabriele De Nigris di cedergli il posto in macchina perchè si sente poco bene.

                Appena lasciata Campobasso, in contrada Mascione, si decide una breve sosta per sistemarsi al meglio nelle macchine e secondo gradimento. Il viaggio è breve, ma ognuno preferisce stare con gli amici più stretti.

Tonino Ronzitti fa il cambio con Franco Valerio che sale sull’auto di Nicola Baranello, sedendo accanto al grande amico Luigi e alle spalle di Giovanni, fratello di Nicola. Domenico Ferrante, già in esubero, va a sistemarsi sulla macchina che segue.

Questa innocente cantilena di saliscendi è la chiave del destino di un gruppo di ragazzi ventenni!

                La notizia giunge in un amen a Campobasso. Il Romagnoli, gremito di pubblico, si svuota e si riversa davanti al vecchio Cardarelli. C’è una partita per la vita da non perdere e da giocare in solidarietà.

Quel mistero chiamato uomo che quotidianamente si arrovella nell’invidia, ammirazione infelice per qualcun altro, è capace, in certi momenti, di una generosità senza limiti con cui si affranca dai suoi egoismi.

La gente sente quei ragazzi come figli suoi e cerca le famiglie per confortarle. Quelle sono già lì, come sul sacrato di una chiesa. Stanno ognuna per proprio conto, simili a mazzetti di fiori con il gambo piegato. Sono, però, vicine le une alle altre, quasi per ripararsi dall’angoscia che le attraversa e mette addosso i brividi.

Le madri rivolgono al buon Dio, sommessamente, le loro invocazioni. Chiedono misericordia per i figli loro e per quelli delle altre. Sanno che la gioia dell’una può significare la pena dell’altra. Pregano insieme e chiedono la forza di sopportare qualsiasi notizia. E’ un’atmosfera sospesa, in attesa di qualsiasi evento. Ogni mamma si prepara al peggio.

Si passa con fatica in mezzo a loro, cercando di scansare la commozione, il dolore, l’angoscia, che si sono come materializzate.

Quando qualcuna intravede, tra la folla, il proprio figliolo, se lo stringe al petto come quando era bambino. E prova a contenere la gioia per non accrescere l’afflizione delle altre che ancora non ritrovano il proprio.

                In un tramonto che lentamente si consuma c’è una mamma, col viso simile ad una madonna di cera, che rivolge al Cielo una struggente invocazione: “Ti prego, Signore, lascia a queste madri i loro figli. Prendi i miei”.

Solo qualche ora più tardi si scioglieranno gli enigmi di una giornata destinata alla festa ma che invece strappa alla vita Franco e, dopo una settimana, Luigi.

 

 

il calcio si ferma e…

La sciagura di Riccia provoca la sospensione dell’attività di calcio, ma solo a livello dilettantistico. Si continua con il settore giovanile.

La Virtus vive un anno sabbatico per ritrovare serenità e ricaricare le batterie.

I suoi giocatori, richiestissimi, vestono i colori di altri club. Alcuni, anche quelli dell’U.S. Campobasso (Claudio De Libero, Nicola Palladino, Nicola Trolio), che milita in 4^ serie.

10/07/2014


“Sì, lo ricordo bene, come se avessi ancora sotto gli occhi la scena. Eravamo io, giovincello di ventun’anni, e sei o sette ragazzetti tra i dieci e i tredici anni. Avevamo avuto l’idea di mettere su una squadretta di calcio per riempire i tanti spazi liberi che lasciavano la scuola  e il doposcuola. A Campobasso non c’erano molte opportunità per il tempo libero  dei ragazzi, specie se si volevano su misura per destare il loro entusiasmo e mettere in mostra le loro capacità. Assumemmo volontà e determinazione nel cercarle, con fatica anche, ma con lo spirito di gruppo, di “villaggio” che ci animò quella sera di settembre 1959.”

Leo Leone

 

 

 Dalla favola alla vita

 

Quella sera vide raccolti in una saletta della Casa degli Orfani di Guerra (l’attuale Conservatorio Musicale “Lorenzo Perosi”) un gruppo di ragazzini di scuola media, provenienti per lo più dalla zona di Via Monforte: i fratelli Nicola e Pasquale Ruscitto, Antonio e Mario Sciarra, Eugenio Gagliardi.

Non fu un caso che venivano dalla zona del quartiere popolare di Sant’Antonio Abate.

Fu in quel contesto che la Virtus raccolse i suoi primi iscritti. Facevano parte di un doposcuola che i Marianisti avevano aperto l’anno precedente.

Le favole, in qualche modo, nascono da episodi di vita vera ripresi per offrire raggi di luce come a quel fantastico bambino del film di Benigni: “La vita è bella”. E se egli riuscì a giocare anche all’interno di un campo di sterminio nazista, tanto più possiamo farlo noi perché le tracce del gioco sono già segnate e sono tante e belle.

Il nome Virtus venne assegnato dagli stessi ragazzi che raccolsero il suggerimento di un giovane, Giuseppe Ruffo, uno dei padri fondatori della società sportiva, frequentatore assiduo dei Marianisti.

A preparare e a presiedere l’evento fu Leo Leone che nella comunità marianista ricopriva il ruolo di “istitutore”, come ai bei tempi si etichettava chi svolgeva attività di sorveglianza e assistenza nei confronti degli orfani di guerra.

Le testimonianza ed i documenti del tempo inquadrano il clima che si respirava all’interno della Casa degli Orfani di Guerra che, per i primi dieci anni, fu la sede della Virtus.

Michele Molinaro, orfano di guerra, in un lungo colloquio con Leo Leone e P. Luigi Zorzan, marianista da sempre nel nostro gruppo,  ricorda ancora oggi quegli anni di sofferenza e di studio con serenità e freschezza di particolari, dando risalto allo spirito di famiglia instaurato dalla comunità marianista: “Prima della venuta dei Marianisti, alla Casa Orfani di Guerra si viveva piuttosto isolati dal contesto cittadino. I ragazzi portavano delle mantelline scure, chiuse al collo da un colletto stretto: erano le divise dell’Istituto. Il pasto era sobrio, consumato in lattine di alluminio. All’occorrenza si tirava a sorte chi poteva mangiare la frutta o il pane che avanzavano, data la scarsità delle razioni.”

Più che istituto di assistenza educativa, la Casa Orfani di Guerra si presentava come un vero e proprio reclusorio.

La tragedia della guerra non si era conclusa.

L’esperienza condivisa con i ragazzi della città favorì il recupero, attraverso lo sport, di una dimensione sociale  e di un autentico spirito di fratellanza e di gruppo.

 

 

Un campo di gioco aperto a tutti

 

Lo spazio retrostante la Casa Orfani di Guerra divenne poco a poco il luogo di incontro per ragazzi ed adolescenti che in Campobasso e nei paesi limitrofi non avevano altri spazi per socializzare, salvo quelli offerti soprattutto dall’oratorio di Sant’Antonio di Padova e dal dinamico gruppo Gifra dei Cappuccini.

Non c’erano impianti sportivi. Il campo Romagnoli  era l’unica struttura destinata allo sport. In esso avevano diritto di accesso solo ed unicamente le società di calcio affiliate alla F.I.G.C. e, in prevalenza, la squadra che portava avanti le ambizioni e la bandiera della città.

Il tifo traboccava per la formazione del capoluogo e, le domeniche, tutti convogliavano all’interno del recinto del Romagnoli.

Non esistevano, in quegli anni, attività sportive che promuovessero la partecipazione dei ragazzi e dei giovani. La nascita della Virtus costituì un evento di rilievo storico per Campobasso

Il “campetto degli orfani di guerra”, come venne etichettato, divenne la palestra permanente di uno sport popolare in cui il protagonista, se inizialmente era stato il ragazzino di via Sant’Antonio Abate, di vico Carnaio, di via Marconi, in seguito fu anche di  via Roma e poi dell’intera città fino a coinvolgere quello di Ferrazzano, Mirabello, Vinchiaturo, Campodipietra, Oratino, S. Giovanni in Galdo, Ripalimosani.

Ciò che il campetto rappresentò per i ragazzi del tempo lo testimonia un evento che ebbe una ricaduta a livello regionale per il clamore che suscitò.

Ci fu una delibera dell’Amministrazione Provinciale di Campobasso che portò, in data 16 gennaio 1965, alla recinzione dello spazio destinandolo alla costruzione di abitazioni da assegnare ai propri dipendenti.

Negli archivi ritroviamo una ricca documentazione sulla rivendicazione di quel sito. Tra le carte figura un esposto inviato dall’allora presidente della Virtus  ai consiglieri provinciali, al Prefetto, alle autorità sportive e alla stampa che, riportando tutto il programma delle attività svolte dalla Società nel quinquennio trascorso 1959-65, chiedeva l’immediata sospensione del provvedimento.

Leggiamo, inoltre, un comunicato inviato alle famiglie, ai gruppi sportivi giovanili e alle scuole, a firma del presidente Leo Leone, con una raggelante conclusione. “LA VIRTUS NON SARA’ PIU’  e con essa l’entusiasmo che per anni ci aveva fatto pensare che a Campobasso non si sarebbe potuto mai parlare di “gioventù bruciata” finché si poteva contare su giovani così ardenti e volenterosi”.

E i ragazzi della Virtus non stettero a guardare.

Si vestirono da “ragazzi della via Pal”, disposti a tutto per conservare un luogo caro.

La stampa diede ampio risalto alla vicenda. La cosa ebbe un esito imprevedibile per quella stagione. Dopo una protesta pacifica e silenziosa di un ampio schieramento di giovani e dirigenti sportivi a ridosso del recinto del campo, notte tempo, ignoti smontarono la rete di recinzione e  di essa non si riscontrò più traccia.

Un comunicato di inizio marzo diffuse la bella notizia dell’annullamento della delibera e della riapertura del campo.

 

 

Un evento storico: nasce in Molise la Città dei Ragazzi

 

Erano gli anni in cui in Italia prendevano piede iniziative molto innovative e di successo nell’ambito dell’educazione e della cura dei più giovani. Tra queste, le fiabesche “Città dei Ragazzi”, un capitolo avvincente all’interno della storia del movimento pedagogico denominato “Scuole Nuove”. Esse si erano affermate, qualche decennio prima, in tutta Europa e propagate anche in altri continenti. Un modello di Città dei Ragazzi molto noto e apprezzato operava a Roma.

Occorre riferire di un attento lavoro di ricerca che Leo Leone stava svolgendo in campo pedagogico. Tale percorso incrociava anche l’esperienza e le figure di altri fondatori della Virtus e, tra questi, l’indimenticabile padre Renato Valenti.

Abbiamo appena accennato come la condizione di “orfano”, in senso lato, non riguardasse solo gli ospiti della Casa Orfani di Guerra. I ragazzi di Campobasso, all’epoca, non avevano grandi opportunità di appagare la loro voglia di giocare. Dilagavano forme di attività ludiche segnate dallo spontaneismo ed anche dal recupero di giochi popolari. Ma, senza un contesto educativo finalizzato alla crescita ed alla formazione della persona, lo spontaneismo non produce di per sé effetti positivi.

L’idea che fu alla radice della nascita della Virtus scaturì, appunto, da esperienze maturate in ambito educativo, in contesti di matrici storiche e culturali diverse, ma di ispirazioni e fonti medesime: nei ragazzi e nei giovani ci sono inclinazioni che meritano promozione e crescita e devono essere oggetto di cura. Una pianta, senza terreno, clima ed cura adatti, rischia di non reggere già alle prime intemperie. 

A monte del programma formativo, c’era la visione cristiana dell’uomo e della vita. Un cristianesimo aperto a tutti i ragazzi, a prescindere dalla loro provenienza culturale, sociale e religiosa.

Per cogliere il senso e il volto originale di questa storia bisogna rifarsi, fin dalle sue origini, alle connessioni del Gruppo Sportivo con il “Villaggio Stella Maris”. L’identità della Virtus, per molti versi, si rifà a questi preziosi legami.

Il Villaggio Stella Maris fu una ulteriore intuizione di Leo Leone. Egli avvertì l’esigenza di offrire ai ragazzi, che non facevano necessariamente attività sportiva, l’opportunità di approcciare iniziative di diverso genere,  collaterali alla Virtus, come il teatro, la musica, o, semplicemente, il volontariato. Naturalmente l’invito fu raccolto anche da chi era già impegnato nello sport ed avvertiva l’esigenza di integrarlo con una partecipazione più piena, totale.

 Si favorirono, così, le adesioni. Questo, però, rese necessaria una struttura organizzativa più complessa.

Pertanto, si arrivò alla creazione di uno statuto che assegnava compiti dirigenziali agli stessi ragazzi.

Siamo nell’autunno del 1961 e troviamo, nelle righe di un diario del tempo, la formula di promessa dei responsabili del Villaggio:

“Sul mio onore prometto di osservare e di fare osservare la legge del Villaggio “Stella Maris” in qualità di..”

Commissario: Carlo Gagliardi

Censore: Tommaso Pasqualone

Segretario: Nicola Palladino

Ministro del Tesoro: Angelo Del Colle

Ministri dell’ordine: Vincenzo Santorelli, Michele Pietrunti

Ministri dell’interno: Antonio Tamburrino, Vincenzo Morena

Bibliotecario: Libero Vitale

Consigliere Supremo: Leo Leone

Venivano così ricoperti i ruoli che riguardavano tutta l’organizzazione. Il commissario era responsabile ultimo, il censore il vigilante sulla disciplina, il segretario l’estensore dei verbali e del diario, il ministro del tesoro provvedeva alla riscossione delle quote associative, i ministri dell’ordine si occupavano del materiale, della sede e delle divise sportive, i ministri dell’interno curavano gli orari e l’efficienza della sede. Al bibliotecario il compito degli archivi ed al consigliere supremo, infine,  quello di coordinare le attività dei singoli “ministeri”.

Il “Consiglio Maggiore”, questa l’etichetta della struttura di governo del villaggio, si riuniva periodicamente. Ciascuno dei componenti forniva le informazioni sul proprio ambito di competenza e si decidevano assieme  il programma e le azioni da attuare.

In uno dei quattordici articoli che costituivano lo statuto si legge: ”Il Villaggio Stella Maris, anche se nato in un contesto sociale di fede cattolica, annovera tra le sue caratteristiche prime il rispetto e il dialogo con ogni altra esperienza religiosa”.

                Non fu un caso che, fin dalle origini, tra gli associati, ci fossero anche appartenenti a famiglie di confessione valdese.

Tale clima favorì il dialogo interreligioso, approdando ad un movimento di idee e di proposte che portò la comunità marianista di Campobasso a intessere rapporti di vera fratellanza. Nacquero iniziative che animarono alcuni quartieri della città nel campo dell’impegno civile e sociale.

 

Uno sport nel segno del gioco e dell’agonismo

 

Il gioco è stato e resta una delle attività che offre opportunità autentiche di crescita e lo sport lo riconosce elemento essenziale.

Lo sport, sintesi di gioco, di movimento e di agonismo, declina armoniosamente il divertimento con l’impegno e la tensione verso il miglioramento ed il superamento di sé. Diviene, in tal senso, quasi un momento sacrale dell’uomo. Questo tendere “oltre” fu foriero, subito, anche di risultati tecnici notevoli già in fase di avvio.

Occorreva, intanto, una divisa per disputare le partite di calcio. Tale esigenza fu soddisfatta da un bel gesto del parroco di Sant’Antonio Abate, Don Giuseppe Di Fabio. Il colore giallo rosso costituì la tenuta di gioco di quei fringuelli che rappresentavano la prima generazione.

La Virtus vinse il campionato provinciale C.S.I. di calcio “ragazzi” nella stagione agonistica 1960-61 e si aggiudicò anche un diploma al merito sportivo.

L’anno successivo, tre furono i primi posti ottenuti nei campionati di calcio e due le coppe disciplina, a testimoniare abilità tecnica e fair play.

Per i più piccoli si organizzarono le Olimpiadi Vitt, rassegna sportiva, promossa in tutta Italia dall’Azione Cattolica.

Al terzo anno dalla nascita, i calciatori raggiunsero il numero di sessanta iscritti e, al quinto anno, di cento tesserati, distribuiti in varie fasce di età.

Agli impegni strettamente sportivi di preparazione ai campionati  si affiancarono, in crescendo, attività di natura associativa che il Villaggio, quotidianamente, proponeva.

Ci ha molto incuriositi la scoperta di un documento d’archivio di grande pregio: la tessera di adesione di Gino Bartali alla Virtus.

Il 22 maggio 1960, il Giro d’Italia fece tappa a Campobasso. Il mitico campione incontrò i ragazzi alla  Casa Orfani di Guerra e accolse l’invito a sottoscrivere la tessera della Società.

Nel 1962, la Virtus vinse il campionato di terza categoria, raccogliendo unanimi elogi dalla stampa regionale che ne esaltava lo spirito di coesione e lo spumeggiante gioco di squadra.

 In quel contesto emersero autentici talenti come Aldo Pece, Berardino Baratta, Attilio Mosca e anche taluni dei ragazzi fondatori come i fratelli Nicola e Pasquale Ruscitto, Eugenio e Carlo Gagliardi. E non possono passare nel dimenticatoio alcuni di quel gruppo che, per anni, ne costituirono la struttura portante: Mario Oriente, Salvatore Gianfagna, prematuramente scomparso, Bruno Frosali,Lino De Santis, Giovanni Palladino, Angelo Del Colle, Manfredo Occhionero, Vincenzo De Simone.

L’atletica leggera raccoglieva, intanto, i primi significativi risultati in terra d’Abruzzo.

La Virtus conquistò il secondo posto nella corsa campestre di Pescara il 9 gennaio 1963 e, nello stesso anno, il presidente del C.O.N.I., Prospero Musacchio, le assegnò il primo premio C.O.N.I.. Sempre nel 1963, il 4 ottobre, a Rovereto, in occasione dei Campionati Nazionali C.S.I.,  Enzo Barisciano e Flaviano Di Falco, primatisti regionali nelle loro rispettive specialità, ottennero un ottimo piazzamento nei 250 metri piani ( 31”4) e nel getto del peso (metri 12,27).

A Campobasso, il 7 aprile, la società giallo blu organizzò il primo Trofeo Chaminade, gara nazionale intitolata al fondatore dei religiosi Marianisti. Numerosa fu la partecipazione e di grande qualità.

La manifestazione, riproposta in altre sei edizioni, ebbe il merito di coinvolgere anche le scuole della città e, in particolare, la media Igino Petrone che ebbe entusiasta promotore il prof. Antonio Cavaliere. Da quella scuola si avvieranno all’atletica, tra gli altri, ottimi velocisti come Romeo Pistilli e Raffaele Capasso.

Questo evento fu cassa di risonanza per l’attività di atletica leggera nella Virtus e nell’intero Molise.

Nel frattempo, il Centro Sportivo Italiano, che si era retto grazie allo zelo di un sacerdote molto vicino alle generazioni giovanili, don Giovanni Battista, e all’impegno di persone come Samuele Spagnuolo, Giuseppe Ruffo, Raffaele Pianese, per diverse stagioni politiche vicesindaco della città, entrava in crisi e si scioglieva.

Fu all’interno del G.S. Virtus  che il C.S.I., con la presidenza del dott. Enzo Ferro, venne rilanciato a Campobasso nel 1964. Egli fu una figura rappresentativa dell’imprenditoria molisana e magnifico modello di persona. Il dottor Ferro si era avvicinato al mondo dello sport allestendo un sodalizio sportivo, la Juvenes, che risultò una delle più valide ed agguerrite antagoniste della Virtus.

 

Non solo sport

Nell’estate del 1961 si svolse il campo estivo K1 in località Val Fondillo, nel Parco Nazionale d’Abruzzo.

 L’avventura apriva la strada ad una lunga serie di iniziative che si sarebbero sviluppate,  anno per anno, fino alla fine del primo decennio, per poi essere rilanciate negli ultimi tempi.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo ci ospitò per diverse edizioni. Ma, con il trascorrere delle stagioni, ci arrampicammo anche in altri luoghi ameni e molto affascinanti.

Campeggi sui monti Lepini e alle sorgenti del Liri, nelle zone appenniniche della Ciociaria; a ridosso dell’eremo di Subiaco, al confine tra i monti Ernici e l’Abruzzo; a Blera, in pieno territorio etrusco, in provincia di Viterbo. Ma non si trascurarono le meravigliose montagne molisane, dal Matese alle Mainarde.

Nella fantastica Valle Fiorita, ai piedi del Monte Meta, si vissero, per più di una stagione, esperienze di vita di campo e di escursioni che nell’estate del 1967 culminarono nell’ ”Operazione Mainarde”. Per tre giorni ci avventurammo in un campo mobile tra le valli e le cime più belle dell’appennino italiano, godendo  sensazioni, colori, profumi e scoperte che mai si sarebbero potute immaginare.

Ed a proposito di avventure, ci sarebbe da raccogliere una bella antologia di aneddoti.

Come dimenticare l’amarezza che avvolse il campo K4, in Val Fondillo, nel 1964 quando, dopo il rientro da una escursione, scoprimmo che la “cambusa”, la tenda della cucina, era stata saccheggiata da un orso. Quel mascalzone si era impadronito dei due agnelli, procurati dai pastori della zona, che avrebbero dovuto essere il piatto forte, l’indomani,  alla “festa dei genitori”.

Era, infatti, tradizione che l’ultima domenica ci fosse la visita dei familiari. I campeggiatori, per festeggiare l’evento, oltre alla Santa messa celebrata da padre Renato Valenti, organizzavano giochi, coloratissime scenette legate alla vita di campo, un pranzo coi fiocchi ed un grande fuoco di bivacco, intorno al quale ci si esibiva in canti e danze. Quella volta ci sarebbe stato anche qualcos’altro da raccontare…

Torniamo, perciò, alla visita dell’orso. Nel fare il riscontro delle presenze nelle tende ci si accorse dell’assenza di Gabriele De Nigris e Vincenzo Morena. Mancavano i due campeggiatori più forti ed imprevedibili.

Si cercò in ogni dove: di qua e di là, oltre il campo, oltre il fiume Fondillo, nel bosco, ma dei due non c’era traccia. Si suppose di tutto… ed intanto, si continuò a cercare. Improvvisamente si avvertì una specie di sussurro provenire dall’alto di un faggio, a ridosso della cambusa, ed un invito al massimo silenzio. Gabriele e Vincenzo, appollaiati sulla parte alta dell’albero, erano in attesa dell’orso. Dovevano fargli pagare il prezzo della sua impresa.

Sarebbe stata una sfida impari: due contro un povero orso affamato. Per evitare lo scempio…, si convinsero, e non fu semplice, i due cacciatori ad abbandonare il progetto e ritirarsi, come gli altri, nelle rispettive tende.

E come non ricordare il campo Stella Maris K10, nel 1966, durante il quale, la domenica della “festa dei genitori”, in mezzo alla natura, Giuseppe Vitale fece la sua Prima Comunione?

Le tappe si arricchirono così, di anno in anno, di esperienze ed aneddoti che riviviamo con vera passione.

L’atmosfera del campo accresceva la coesione nel gruppo, assegnando allo sport un respiro e una dimensione di legame alla natura che proveniva dalle geniali intuizioni di Baden Powel, la grande anima che aveva dato vita allo scoutismo. Uno spirito che favoriva, anche, l’incontro con le famiglie e con gruppi di ragazzi provenienti da altre realtà geografiche .

                Forca d’Acero, un angolo pittoresco dell’Appennino laziale, rientrante nell’allora Parco Nazionale d’Abruzzo, fornì un’occasione unica di immersione tra i monti, quando, nell’inverno 1964/65, vi realizzammo un campo invernale. In un rifugio a circa 1500 metri di quota, vivemmo  un’esperienza di solitudine, accentuata da una fitta, improvvisa nevicata che allarmò gli stessi abitanti del vicino paese di S. Donato, ma non certo i campeggiatori che, verso sera, ebbero il “fegato” di andare lungo i tornanti della strada invasa dalla neve per godersi… l’ululato dei lupi.

In quella circostanza, l’intero paesino si mobilitò d’intesa con la famiglia di Leo Leone, che a San Donato risiedeva, per venirci a liberare dalla solitudine forzata che impediva anche la provvista di rifornimenti alimentari.

A queste iniziative, si aggiunsero quelle dei “campi scuola”.     

Essi furono dei veri e propri master per i ministri del Villaggio. Organizzati sotto forma di campeggio della durata di una decina di giorni, prevedevano momenti di riflessione e di profonda spiritualità. Venivano trattate tematiche attinenti le capacità e le funzioni del leader e le strategie di conduzione di una organizzazione di volontari. I giorni conclusivi, tre o quattro, erano, infine, dedicati alla parte turistico-culturale.   

Si realizzarono per lo più in settembre, in località che ci portarono oltre gli orizzonti molisani e, addirittura, nazionali.

Il primo campo scuola si svolse in territorio di Guardiaregia.

Si andò, poi, nel 1964, a Brusasco, nelle colline prossime al Monferrato, nel parco adiacente la struttura collegiale dei Marianisti. Il luogo fu prescelto, a suo tempo, dallo stesso Garibaldi, per un periodo di solitudine e di riflessione. A seguire, Ischitella sul lago di Varano in Gargano (1965); il lago Tovel, Dolomiti del Brenta (1966). Successivamente approdammo in Germania, con puntate alla Foresta Nera e a Dakau, uno dei campi di sterminio nazisti. In seguito, fummo in Corsica, Foresta D’Aitonne, alle falde del monte Cinto (1967);  e, ultima tappa,  Lourdes (1968) con una successiva e ben studiata escursione  in Spagna.

Dell’escursione in Germania, è rimasta negli archivi una bella pagina di Nicola Palladino che comunicava agli amici le sue angosciate riflessioni su Dakau.

“In Germania più che le sue città mi colpisce “Dakau”. Non ne avevo mai sentito parlare ma siatene certi, non dimenticherò più “l’inferno dei vivi”. Un cielo maledettamente plumbeo, una nebbia grigia e umida da entrarti nelle ossa, un’atmosfera pesante, un respiro lugubre. Il campo di concentramento hitleriano ha preferito, quel giorno, così presentarsi e suggellarsi indimenticabile nella nostra mente. Documenti terribilmente veri e crudeli ci fanno quasi, oltre la nebbia del tempo, rivedere innanzi a noi uomini, donne, bambini, per i quali la vita era morte e la morte liberazione da un incubo; incubo di non essere più uomini. Forse è stata questa l’esperienza più drammatica e più profondamente meditativa: Padre nostro, fa che il mondo sia unito e in pace, che il fratello riconosca il fratello e insieme formino una società segnata dall’umanità e dalla “caritas” che Cristo ha insegnato.”   

Se nel corso degli anni i ritmi e i calendari dell’attività sportiva di calcio e atletica leggera ridussero gli spazi delle esperienze estive vissute nella cornice della natura, il richiamo ad essa si è fortemente radicato nella storia della Virtus, al punto da essere raccolto dalle ultime generazioni che ne hanno ripreso la frequentazione.

 

Una famiglia pienamente integrata nel Villaggio

Fin dall’inizio ed in maniera del tutto naturale e spontanea, la famiglia entrò a far parte di questo mondo giovanile.

Il primo approccio fu sollecitato dall’esigenza di manutenzione del materiale sportivo che andava sistemato settimanalmente, dopo ogni incontro di calcio.

Ciascun ragazzo doveva assicurare la pulizia della divisa da lui indossata e renderla disponibile per il successivo utilizzo.

Furono le loro madri o sorelle a prestarsi a tale servizio. Le famiglie Ruscitto (tramite mamma Angela) e Gagliardi (con il lavoro sistematico di Anna, sorella di Carlo), furono le prime a farsene carico. Successivamente, sempre più mamme e famiglie, tra cui Carmelina e Francesco Palladino, genitori di ben quattro figlioli che costituirono uno dei nuclei familiari più numerosi all’interno del Villaggio Stella Maris e Felicetta ed Antonio De Libero si resero disponibili.

Fu così, con piccoli ma significativi interventi, che esse entrarono a far parte dell’organizzazione per divenirne, poi,  componente attiva nella programmazione delle attività, delle feste, delle trasferte e dei campeggi.

Le famiglie si autoorganizzarono anche per trascorrere con i ragazzi i weekend  sul Matese e ad Altilia e, addirittura,  i campeggi  ed i campi scuola. Per due anni si passò insieme anche il capodanno.

Il momento  più significativo della loro presenza era segnato, di anno in anno, dalla “festa delle famiglie” che si svolgeva alla Casa Orfani di Guerra il giorno dell’Epifania.

L’evento, che si viveva spesso in una ricorrente, copiosa nevicata che contribuiva a creare una cornice da favola, prevedeva un programma ricco di iniziative: canti, poesie, premiazioni, estrazione dei biglietti della lotteria promossa per il sostegno dell’attività e, soprattutto, teatro.

Furono queste le occasioni che rafforzarono la coesione associativa con il Gruppo Sportivo grazie alla partecipazione di quei genitori che non si limitarono ad “appaltare” alla società sportiva l’uso e il consumo del tempo libero dei figli.

Anzi, furono proprio quei genitori, con poca scuola e senza laurea, ad intuire che solo la loro compartecipazione alla vita sociale dei propri figlioli, senza peraltro condizionarne le scelte, sarebbe stata la carta vincente per un’armoniosa crescita. 

L’impiego corretto che i ragazzi fanno del tempo libero, l’educazione al rispetto delle regole, la condivisione dei loro interrogativi e la presenza autorevole dei genitori, hanno costituito, da sempre, un mix vincente contro i fenomeni, dilaganti, di delinquenza e bullismo.

      

 

Uno sport che cresce in numeri e qualità

 

La Virtus promosse la pratica dell’atletica leggera anche tra i calciatori, piuttosto renitenti a tale disciplina.

Ecco che allora, nelle graduatorie del tempo, troviamo i nomi di Aldo Pece e Berardino Baratta, spettacolari realizzatori di reti, che primeggiarono anche nelle classifiche  del salto in lungo. E Mario Oriente, portiere di buon talento, si cimentò senza risparmio nella dura e faticosa prova dei metri 1.500.

A questi seguirono altri calciatori virtusini come Nicola Palladino, Nicola Baranello, Roberto Palladino, Gabriele De Nigris, Vincenzo Morena,Antonio Tamburrino, Vittorio Augelli, Pasquale Vespa, Manfredo Occhionero, Claudio e Mauro De Libero, Gaetano Tammaro, Michele Pietrunti e tanti ancora che profusero il loro impegno sia nell’attività di calcio che in quella dell’atletica leggera.

La promozione ed il relativo sviluppo di quest’ultima disciplina lo si può documentare con la realizzazione,  in occasione del primo quinquennio della Virtus, della Maratonina di Km. 14, calendariata il 13 giugno 1965, in coincidenza della Sagra dei Misteri.

Iniziative consimili furono programmate in seguito: dalle gare nazionali di marcia, nel centro del capoluogo, al “Trofeo della Madonnina” (Campobasso-Matrice, Madonna della Strada). Quest’ultima diverrà un appuntamento tradizionale per una lunga sequenza di anni.

E, a proposito di marcia, è doveroso ricordare che fu la Virtus a promuoverla in Molise avviando, anche, un rapporto di collaborazione con l’olimpionico Pino Dordoni. Questi seguì, con vivo interesse, i nostri ragazzi, fornendo stimoli e suggerimenti in ambito tecnico ed alimentando in loro motivazioni sempre crescenti. Qualcuno dei più talentuosi, come Mario Farinaccio, approdò anche nella formazione della nazionale italiana.

Nell’anno 1965 la Virtus aprì una stagione di notevole crescita di tesserati e  risultati.

Un bel gruppo di atleti si affermarono nell’attività di corsa campestre regionale: Nicola Baranello e Vincenzo Di Stefano, conquistando il titolo di campioni regionali, parteciparono alla fase nazionale di Firenze, nella fascinosa cornice delle Cascine. Nell’occasione ebbero compagni di squadra Nicola Palladino, Domenico Ferrante, Alessandro Aurisano e Giovanni Villani.

Altro risultato di rilievo fu ottenuto da Mario Nardacchione che, lanciando il disco a metri 35,45, conquistò il record regionale della specialità.

La cerimonia di celebrazione dei primi cinque anni venne programmata nella sala consiliare del Comune di Campobasso. Furono presenti rappresentanze istituzionali e sportive assai significative: dal prefetto Mario Bettarini, al vescovo Alberto Carinci, al sindaco Carlo Vitale, al Provveditore agli studi Camillo Manfredi Selvaggi, al questore della provincia di Campobasso Giuseppe Allocca, al presidente del C.O.N.I.  Prospero Musacchio.  Partecipò, anche, un numeroso gruppo di rappresentanti del mondo dello sport e dell’associazionismo giovanile.

Vennero premiati gli atleti della Virtus  che avevano ottenuto i risultati più rilevanti ed i componenti la squadra di calcio,  vincitrice nella fase regionale del campionato C.S.I.

Un diploma di benemerenza fu attribuito al prof. Aniello Renga, significativa guida degli atleti e sincero amico e collaboratore della comunità marianista nel progetto educativo dei ragazzi attraverso lo sport.

Una medaglia speciale premiò Tonino Scarlatelli, quale esponente della stampa sportiva, per aver contribuito a diffondere l’immagine e la storia del Gruppo Sportivo Virtus.

In fase di chiusura della memorabile giornata, al dott. Prospero Musacchio venne assegnato il riconoscimento di Sindaco Onorario del Villaggio Stella Maris, per la vicinanza e il sostegno dimostrati. Furono i commissari Tommaso Pasqualone e Nicola Palladino a consegnare il diploma e la coccarda con i colori societari.     

Nel 1966 il calcio fece segnare i suoi primi risultati di rilievo fuori regione.

La Virtus partecipò a Foligno, con grande slancio e non poco patema, alla finale nazionale juniores del CSI, sfiorando la conquista del titolo italiano e raccogliendo la simpatia dei tifosi umbri ed il vivo apprezzamento del coordinatore nazionale C.S.I., Generoso Dattilo.

Sulla pagina nazionale del 26 giugno 1966 di Stadium, il mensile del Centro Sportivo Italiano,  nell’articolo firmato dallo stesso Dattilo così leggiamo: ”Ha destato una sorpresa il constatare che il pubblico folignate ha riservato le più simpatiche accoglienze alle avversarie della Fiumeter ( la squadra di Verona che vinse il titolo nazionale), mentre verso quest’ultima si notava una certa freddezza.

Noi ricordiamo in modo particolare le partite che i veronesi hanno sostenuto con il Campobasso (la Virtus) e con il Siracusa. Sia i molisani che i siciliani, oltre ad una impostazione basata sulla velocità e su dei temi tecnici di apprezzatissimo livello, sono divenuti i beniamini dei folignati per il loro impegno agonistico anche se mantenuto sulla perfetta forma della correttezza in campo più irreprensibile”.

Sulla scia di risultati così clamorosi, l’anno dopo, la Virtus, anche per non perdere i contatti con quei ragazzi che, per limiti di età, avevano concluso la loro attività nei settori giovanili, partecipò al campionato di calcio di 2^ categoria.

In atletica, nello stesso periodo, in risalto le prestazioni di Claudio Palladino, Michele D’Errico, Eugenio Astore, Nicola e Roberto Palladino, Nicola Baranello, Vincenzo Di Stefano, Aniello Iaccarino, Domenico Oriente, Luigi Di Nunzio, Domenico Ferrante, Francesco Carbini, Bernardo Cosimi, Alessandro Aurisano, Gaetano Tammaro e il gruppo, al completo, dei marciatori.

A livello organizzativo, la Virtus allestìla 2^ prova dei Campionati Italiani di marcia km 10 su strada, conquistando la 3^ posizione nella classifica per società con Antonio e Giacomo D’Alberto, Luigino D’Angelo, Franco Di Nunzio e Saverio Ialenti.

Contestualmente alle vicende sportive, si svolse, nel 1967, il 1^ “Festival del Villaggio”, una kermesse canora in cui i più bravi risultarono Giovanni Baranello, Franco Palladino e Giovanni Di Risio. Quest’ultimo, autore del miglior testo.

Si aprivano, intanto, i cantieri di “Nuova Frontiera” e iniziavano i campi di lavoro, con la raccolta di carte e cartoni. Tale materiale, successivamente venduto, offrì un non irrisorio sostegno finanziario all’iniziativa.

Furono stagioni che rimarranno indelebili in chi mise a disposizione ogni propria risorsa per un progetto incredibilmente avvincente, ma concreto e realizzabile. Troppo grande, comunque, per non spaventare il piccolo mondo politico regionale, che avvertì come minaccia quell’operazione e l’avversò fino a neutralizzarla. NI AI DILETTANTI: TUTTI, DI NUOVO, IN CAMPO!

10/07/2014