La Virtus vive nel 1968 un suo speciale sessantotto, straordinario per gli effetti che produce e singolare nei modi con cui si manifesta. E’ l’anno del discrimine, che non recide le radici dell’albero ma nemmeno ne alimenta la nostalgia. Nella continuità della trama valoriale, si staglia, però, con chiarezza un prima e un dopo: alla fertile ed entusiasmante stagione di Leo Leone sarebbero seguite, diverse e coinvolgenti, quelle che avrebbero fatto rotta verso l’ignoto per approdare gloriosamente all’oggi.

A livello planetario succede che la gioventù con impressionante deflagrazione, mai più ripetuta, mette in discussione ciò che prima era dato per scontato e prova a fissare i punti di una condizione umana nuova e sconosciuta, libertaria e ribelle, centrata sul ripudio del “padre”: sul rifiuto dei costumi e delle intenzioni degli adulti.

Si solleva una grande speranza antiautoritaria.

Da noi Virtus, nel piccolo, non è così. Il “padre” ha già  abdicato, mesi prima, e comunicato la decisione al suo staff durante l’intensa riunione nel settembre del 1967. 

Quei giovani, destinati a succedergli, sono scossi dalla sua risoluzione. Si sentono come traditi, di colpo fragili e a corto di carburante per continuare l’avventura. Sanno che lo svezzamento non dura in eterno e che sarebbe fatalmente giunta l’ora di camminare con le proprie gambe. Sembra, però, che tutto sia avvenuto troppo in fretta.

Come andare avanti senza il leader di tante battaglie sportive e non, senza il capitano coraggioso sempre pronto ad accettare la sfida di un territorio spesso ostile ed indolente? Sotto quali ali trovare rifugio e dove attingere il coraggio di proporre e di fare? Chi li avrebbe guidati alla processione del Venerdì Santo con la bandiera in mano e in gola il canto ‘We shall overcome’, una canzone di lotta e d’amore?

           La novità li atterrisce e c’è chi, tra loro, propone di  mollare i pappafichi, sciogliere le fila ed impegnarsi diversamente. Incombe, infatti, su certuni il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro e su altri la scelta universitaria che, obbligatoriamente, li avrebbe portati fuori Regione. Qualcuno, invece, come Vincenzo Morena, ha già in tasca la cartolina di precetto per il servizio militare.

L’idea di ammainare le vele, in fondo, non è campata in aria e, per giunta, trova conforto nell’alibi di un pensiero consolatorio e, al momento, di facile presa: si è già durato tanto in una Regione dove ogni  iniziativa non va oltre il tempo di un amen. Si è fatto un bel pezzo di strada e tirato la volata ad una Regione che resta immancabilmente dietro. E soprattutto si è destata l’attenzione verso un certo tipo di sport e faticosamente si sono aperti squarci nella mentalità di un ambiente ingessato, dove il passato non passa mai. L’attività sportiva proposta dalla Virtus ha allenato nei giovani il senso della solidarietà, una chiave determinante del loro futuro, e dato ad essi l’opportunità di imparare a guardare la vita senza rassegnazione e senza restare schiacciati nel presente.

Insomma, trasferire in altre mani un bel patrimonio di idee e di esperienze, non pare un’operazione peregrina né riprovevole. Anzi, una scelta lodevole, quasi un atto di generosità.

Ma si decide di restare, di mettersi al timone ed affrontare il mare aperto. Lo staff dirigenziale, però, si sarebbe subito scremato per i personali impegni, inderogabili ed incalzanti.

Quelli che rimangono sono fermamente persuasi che si sarebbe cresciuti solo in ragione dei problemi da affrontare.

Una grande sfida. E così è stato.

 

Il nodo al cuore

Qualcuno di loro tornerà a “casa” quarant’anni dopo. Durante la lunga parentesi, si è tenuto, però, aggiornato sulle sorti e l’attività del gruppo cui  ha anche fatto visita, ogni tanto, con rapide incursioni.

 Ma, finalmente, Nicola Baranello riapproda, dopo aver seguito le correnti della vita, nella sua piccola Itaca sentimentale e sportiva. Un atto d’amore per i colori giallo blu, con i quali ha imparato l’alfabeto emotivo e mosso i primi passi verso il mondo adulto.

Ha i capelli attraversati da fili d’argento e la barba ben curata. Lascia a casa la  graniglia grigia, veste casual e fa un salto in sede  sociale. Sa di una riunione di lavoro  e che c’è gente.  Vuole, perciò, subito, prendere i contatti, sondare l’ambiente e poi scendere in campo.

Teme di trovare le cose cambiate e di dover  rimpiangere l’atmosfera di quei giorni magici che il ricordo ha reso ancora più unici ed incantati. S’interroga sugli amici di allora: “Quanti saranno ancora lì?”. S’imbatte in  quelli che era certo di trovare: sembrano assai stanchi ma, come una volta, per niente rinunciatari. E’ accerchiato da  giovani ai quali, dopo averne tanto sentito parlare, risulta già familiare senza averlo mai conosciuto. “Tu sei quello che sfacchinava in campo mentre alcuni narcisi si facevano i belli….., Nicola, Claudio…!”.

Si rivede nei loro volti puliti e si sente rinfrancato.

Cerca, allora, un posticino alla tavola imbandita. Basta stringersi un po’che lo trova.

Capita accanto ad un giovane ingegnere, Renato Palladino, di grana fine come la sua e da anni punto di forza dell’organizzazione societaria. Di fronte a loro, vertice del triangolo, miracolo della geometria evocata da quelle presenze, siede il presidente, l’immarcescibile ingegnere Carmine Dato. Tra un boccone e l’altro e, come Socrate suggerisce, qualche buona bottiglia di rosso, si parla per ore, si discute ed ognuno interviene per dire la sua.

Nicola ascolta. Vuole capire.

E intuisce, confortato,  che la Virtus ha conservato lo stesso stile di vita e l’identica griffe morale. I Valori non hanno perso la maiuscola. I gesti semplici della piccola etica quotidiana permangono inossidabili e rigorosi. Ritrova l’abbraccio che non ha fretta di sciogliersi, la stretta di mano che non scivola o si ritrae imbarazzata, il sorriso franco che non bara. Scopre che il ‘buongiorno’ è ancora un augurio sincero e non un modo di dire dettato dal tic dell’abitudine.

 Sono, in fondo, gli stessi arnesi che s’era  portato nella cassetta degli attrezzi per fare la quotidiana manutenzione delle intense giornate di studio nella facoltà d’ingegneria a Napoli. Sono i comportamenti con cui, senza avere accanto il genio della lampada, ha affrontato, poi, la vita professionale, trascorsa, in pole position, all’interno di ambienti e aziende importanti, a cominciare dalla F.I.A.T.

In un mondo di alligatori, il pesciolino rosso ha sempre, con coraggio, sostenuto fino in fondo le ragioni della pulizia morale, della trasparenza, della responsabilità personale e della correttezza dei rapporti.

E adesso che è tornato può, evviva!, sciogliere il nodo  al cuore, fatto lì a ricordargli che se c’è un giorno per partire, ce n’è sempre uno per tornare e rigenerare la memoria prima che divenga detrito ed invecchi in un sogno.

10/07/2014